Ozzy e i cioccolatini alla nocciola

Giusto stamattina parlavo dei Riot e del mio primo approccio alla band. Li ho scoperti relativamente tardi, con “Inishmore”, che se ricordo bene è del 1997. Album che mi piace un sacco, tra l’altro, non fosse per la produzione ovattata.

E niente, mi rendo conto che tutto sommato i libri che sto scrivendo sulla storia dell’heavy metal rappresentano un modo come un altro per raccontare una storia molto, molto lunga in modo originale, trasferendo le mie conoscenze ad altri; in primis a quelli che hanno meno primavere sulle spalle. Solo che ho la sensazione che siano perlopiù coetanei, i miei acquirenti. Gente che veleggia verso gli “anta” o che li ha superati da poco.

Eppure ci sono un sacco di nuovi gruppi heavy metal formati da ragazzini, quelli della cosiddetta NWOTHM. Devo immaginare che la musica suonata corrisponda almeno in parte a quella ascoltata.

In Italia non c’è una giovane scena “classic metal” particolarmente viva, e quando dico “viva” includo il concetto di “coesa” perché senza coesione non si va da nessuna parte. Chiedete a Geoff Barton e Neal Kay.

Eppure giusto pochi giorni fa vi parlavo di Valentino Francavilla e quindi credo che tutto stia nel cercare. Il problema è che c’è davvero troppa musica in giro, rispetto a un tempo; bisognerebbe allungare le giornate ogni anno, nello stesso modo in cui scatta in automatico l’adeguamento al costo della vita.

Però ho intenzione di esplorare e consigliare, ora che di me e dei miei libri si comincia a parlare un po’ in giro. Magari potrebbe andare a beneficio dei gruppi più giovani.

Comunque, per concludere il discorso avviato in apertura di articolo: ricordo che una volta ero in fila a un concerto (Manowar, 2002) e una volta all’interno del Palacisalfa vedo questo signore che accompagna due ragazzini. Immagino fosse il padre, o magari uno zio. Sembrava capitato lì per errore, nel senso che non aveva nulla del metallaro medio; un ragioniere di mezza età circondato da metallaroni borchiati. Diciamo che a suo modo si faceva notare.

Ecco, a un certo punto – non so perché – gli sentiamo dire “ho visto i Black Sabbath con Ozzy” e ricordo questa massa di ragazzi che lo circonda per saperne di più, avidi di particolari. A me la scena ha ricordato tantissimo quella di un film comico che amo (la posto qui sotto… ogni volta che sento “Jeff Beck sputa sulla porta” rotolo dalle risate) ma la cosa che davvero mi colpì fu la smania di ascoltare che avevano quei ragazzi. Naturalmente all’epoca Facebook non esisteva e nemmeno YouTube, quindi se volevi sapere qualcosa dovevi rivolgerti direttamente alla fonte. Io non sono contrario al progresso dei mezzi di comunicazione (come potrei? Li sto utilizzando anche adesso!) ma un po’ mi manca questa possibilità di trasferire conoscenza in una maniera che non sia stringata come un tweet o facile come la solita canzone presa da YouTube e piazzata in un post, spesso senza nemmeno uno straccio di commento.

Ecco, quindi, uno dei motivi che mi hanno spinto a scrivere dei libri sull’heavy metal: recuperare un tipo di narrazione che oggi non va più di moda ma che può avere un impatto diverso e (spero) migliore su chi apprezza l’epica del metal che fu.

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