Per un fan dell’heavy metal è difficile restare neutrale davanti a un nuovo album dei Cirith Ungol.
Se ami in particolare la corrente epica… se malauguratamente sei un fan della band e aspettavi questo album da una vita… la situazione diventa insostenibile.
Io poi non amo scrivere recensioni vere e proprie, quindi adesso provo a immaginare le domande che mi farebbe uno che non avesse ascoltato “Forever Black”, e che dovesse valutare se investirci il suo tempo/denaro oppure no.
Dall’insieme delle risposte dovrebbe venir fuori un’immagine realistica dell’album.
È bello?
Sì, lo è.
Solito stile?
Assolutamente sì. La dedizione alla causa dell’heavy metal è quasi commovente.
Nemmeno un’eccezione alla regola?
“The Fire Divine” ha un’anima più hard rock, ma parliamo di sfumature, che tra l’altro non sono affatto inedite nella proposta dei Cirith Ungol.
Com’è la produzione? Non è che sembra un album vecchio?
Niente affatto. Suona bene, autentico e al passo coi tempi, su Spotify. Su CD sarà anche meglio. Più da anni ’90 che 2000, ed è un complimento.
A quale album della band somiglia?
A tutti e a nessuno. Il giochino del “questa qua mi ricorda...” funziona giusto per “The Frost Monstreme”. Poi si sa, Baker ha uno stile vocale uniformante, linee vocali del genere ce le hanno solo i Cirith Ungol, per cui è normale che qualche strofa ti faccia pensare ad altro. Ma è pur sempre roba loro, non hanno bisogno di prendere spunto da altri. Non lo facevano a vent’anni, figuriamoci a sessanta. La personalità della band, in generale, è molto forte e funge da collante col passato. Sono loro, c’è poco da fare.
A proposito: Baker ce la fa ancora con la voce?
Altroché! Le corde vocali le spreme per benino, non si risparmia. Non so come ci riesca. Urla come un forsennato, alla fine di “Stormbringer” pare stia scendendo in battaglia per ammazzare qualcuno. Poi è chiaro che se a uno non piaceva prima, non è che può piacergli adesso.
Canzone migliore?
È un lavoro molto omogeneo, non penso ci sia un brano che primeggi.
Jim Barraza?
Preciso, essenziale, mai al di sopra delle righe. In “Nightmare” piazza un grande assolo, molto orientaleggiante.
Difetti?
Personalmente avrei voluto almeno una canzone veloce in più. Per spezzare. Poi speravo di beccare il singolo del 2018, “Witch’s Game”, come bonus in qualche versione limitata dell’album. Invece niente. Comunque ho apprezzato molto il numero di canzoni e il minutaggio complessivo: basta con ‘sti album lunghissimi e pieni di filler!
Che sensazioni lascia alla fine?
Molto positive. Per metabolizzarlo un minimo occorrono almeno quattro-cinque ascolti, il che è un bene. Penso sia un album longevo.
A chi lo consiglieresti?
Ai fan della band piacerà un sacco. Chi sta passando la quarantena coi romanzi di Moorcock o Howard, per qualche giorno terrà i libri chiusi. Ecco, “Forever Black” lo vedo come un regalo ai fan, oltre che una celebrazione del proprio passato. È l’album che ci si aspettava da loro: di lenta assimilazione, più oscuro, feroce e lento delle proposte che girano nel 2020, senza orpelli o lagne sinfoniche. La cosa bella, però, è che questo album può essere anche un ottimo punto di partenza per chi vuole approcciare una band a suo modo unica, quindi non abbiate timore di ascoltarlo, se non conoscete i Cirith Ungol. Se già li apprezzate, compratelo a scatola chiusa. Se l’avete già comprato a scatola chiusa, confermo che avete speso bene i vostri soldi.