Dwight Fry, chi era costui?

Più che un’intervista, un interrogatorio.
Un piacevolissimo interrogatorio.

Per la prima volta ho l’onore di scorgere il mio nickname in una rivista, per giunta non focalizzata sull’heavy metal ma sul progressive: Mat2020.

Vedermi citato, nell’indice, assieme a gente come Genesis, il compianto Neil Peart, De Gregori, Banco e Charlie Parker mi fa tremare i polsi, e in tutta onestà non penso che meritassi cotanta attenzione, ma che volete che vi dica? Enrico Meloni ha letto i miei libri e aveva un sacco di curiosità da togliersi in merito a parecchi argomenti; non lo conosco personalmente ma a giudicare dall’intervista ai Ningen Isu (sullo stesso numero) mi pare di capire che non sia un fan delle interviste “brevi e circoncise”, per citare un amico che non incrocio da un po’.

L’avrete capito, l’intervista è bella lunga, ma tanto siete tutti bloccati in casa e tempo ne avete, no?
Scaricate o sfogliate online il nuovo numero di Mat2020, quindi; la mia intervista ha inizio a pagina 30 ed essendo stata raccolta tra fine gennaio e inizio febbraio, non troverete alcun riferimento al coronavirus.
Contenti?

Questo il link, buona lettura a tutti:
https://www.mat2020.com/ultimo-numero.html

P.S.
Se nel complesso questo numero dovesse sembrarvi interessante, fate una donazione per incoraggiare i ragazzi e le ragazze della rivista.

Comunicazione importante

Sebbene in ritardo, ho ricevuto dal tipografo le ristampe dei volumi 1 e 2 di “Heavy Metal – La storia mai raccontata”. Il periodo però è quello che è, potete ben immaginare che non sarebbe una buona idea metterle in commercio proprio adesso.

In generale ho deciso di sospendere le vendite, e questo sia per tutelare la salute dei miei lettori (molti non hanno un conto online e dovrebbero recarsi in posta o dal tabaccaio, per acquistare i libri) che la mia (dovrei andare in posta per spedire) e come tutti sapete, oggi l’unica cosa saggia da fare è starsene a casa.
Senza contare eventuali ritardi nelle consegne per via del periodo caotico… ma quello sarebbe il male minore.

Comunque: sappiate che le copie sono pronte e che le terrò “in caldo” per voi. Quando tutta questa situazione del cacchio finirà… sarà un enorme piacere potervi ricontattare, spedire i libri e poi immaginarvi, belli rilassati, mentre leggete ciò che ho scritto.

Riguardatevi, tenete duro.
Che il metallo vi protegga,
Dwight Fry

Antipasti metallici

Lontanissimi i tempi in cui il nuovo singolo di un gruppo veniva accolto dai fan del metallo con trepidazione. Forse è per questo che i videoclip diventano sempre più banali e caserecci. Sia lodato chi ha inventato soundcloud e i lyric video, che almeno ci risparmiano la visione di pessimi attori o di musicisti chiusi in una stanza (o in un capannone dismesso).

Comunque. In settimana sono usciti un bel po’ di “antipasti”, in campo heavy. Quasi tutti interessanti. Vi segnalo dunque i nuovi brani di Satan, Elixir, Ross the Boss, Thor, Wolf, Black Phantom e Intense. Cinque gruppi più o meno noti, due outsider.

1) Satan, “Twelve infernal lords”

Cliccate sull’immagine per far partire la canzone

Il pezzo che ci si aspetta dai Satan, sia a livello di sound che di scrittura. Anche la produzione old style è identica a quella dei loro ultimi lavori. Promossa.

2) Elixir, “Whisper on the breeze”

Una ballata acustica come primo singolo? Perché no. Il pezzo funziona, ha un che di vagamente epico ed è perfettamente in linea con la proposta degli storici Elixir, dei quali raccomando puntualmente l’ascolto di “The son of Odin” (1986).

3) Ross the Boss, “Maiden Of Shadows”

Bella anche questa. Leggermente cupa, al passo coi tempi. Il ritornello funziona, il cantante non scimmiotta Adams. Meglio del singolo precedente, a parer mio.

4) Thor, “The Game Is On”

Difficile stabilire se sia peggio il pezzo o il video. Diciamo il video. Autoironico? Beh, l’ironia dovrebbe muovere al riso, o al sorriso, invece qua mi vien solo da empatizzare col poverino costretto a riprendere un anziano ex body builder con la panza. Dispiace poi che Thor se ne esca con pezzi così banali, considerando che le volte in cui si è messo d’impegno ha realizzato bei lavori, e non mi riferisco al solo “Only the strong” (ne saprete di più leggendo il quinto volume di “Heavy Metal – La storia mai raccontata”).

5) Wolf, “Feeding the machine”

Title track del prossimo album. Atmosfere sinistre che qualcuno, con scarsa fantasia, collegherà a King Diamond. Il pezzo regge fino al ritornello banalotto, sempre che ripetere il titolo di una canzone equivalga a creare un ritornello. Video a basso costo ma per fortuna non ha quell’aria di povertà che aleggia nella clip di Thor. Nota umoristica: non ricordavo che Niklas Stalvind avesse una mascella del genere. Pare Quagmire dei Griffin.

6) Black Phantom, “Hords of destruction”

I Black Phantom sono i Mesmerize senza Folco Orlandini, grossomodo. Heavy diretto, privo di fronzoli, qualitativamente nella media. In tutta onestà non mi ha colpito molto.

7) Intense, “I agonize”

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Gruppo inglese heavy-power. Power né americano né sinfonico, però: siamo all’incirca dalle parti degli Iced Earth. Il singolo quassù mi è piaciuto, ha belle atmosfere e nel finale pesta come si deve. Attivi fin dal 1991, dopo molto patire hanno esordito nel 2004 e quest’anno pubblicheranno il loro quarto lavoro, che a questo punto si preannuncia interessante.

Blaze Bayley: integrità, qualità

Viviamo tempi convulsi, ed è su queste basi che voglio giustificare quel rimbambito del corriere che mi farà arrivare le ristampe dei primi due volumi in ritardo.
Vi terrò aggiornati, sappiate comunque che sono pronte e a breve arriveranno fra le mie mani.

Nel frattempo mi piace spendere due parole su Blaze Bayley. Ieri Metal Italia ha pubblicato uno stralcio di intervista:
https://metalitalia.com/articolo/blaze-bayley-faccio-solo-meetgreet-gratuiti-per-ringraziare-i-fan/
nella quale il vecchio Blaze dice la sua sull’argomento meet and greet. Lui non chiede un centesimo per incontrare i fan poiché, spiega, deve tutto a loro. E non è un proclama, non è una di quelle frasi buttate lì al solo scopo di mondare orifizi puzzolenti, come fanno alcuni: chiunque abbia incontrato Blaze di persona non fa che sottolineare la sua squisita disponibilità, il suo genuino entusiasmo. Lui sta all’heavy metal come Bobby “Blitz” sta al thrash metal.

Non voglio ammorbarvi col solito pippone sui metallari che parlano bene e razzolano male, premiando i grandi nomi a scapito dei minori. Voglio invece sottolineare un altro fattore: premettendo che mi ha fatto un gran piacere leggere le parole di elogio verso Blaze, nei commenti alla notizia, vorrei precisare che l’ex cantante dei Wolfsbane non andrebbe supportato solo perché è simpatico, o sfortunato, o perché è “uno di noi”. Blaze Bayley andrebbe supportato perché realizza della buona/ottima musica!

Capisco quelli che mettono le mani avanti e dicono “lo rispetto, però a me la sua voce non piace”. Ci può stare. Ma se il timbro non giunge sgradito, allora date una possibilità al Blaze solista perché ha scritto e cantato un sacco di belle canzoni, dopo il 1998. È triste che la maggior parte delle persone lo riconduca ancora agli Iron Maiden, nonostante ci abbia militato a malapena per 5 anni, a fronte dei 10 coi Wolfsbane e dei 20 da solista. Ha sfornato quasi sempre begli album, con giusto una flessione ai tempi di “King of metal”.

In generale è impressionante notare la differenza tra il sound heavy di Blaze e quello inseguito dai suoi ex compagni di squadra, Wolfsbane compresi. Ovviamente non è una sfida a chi ce l’ha più lungo, era per dire che se c’è uno che ha tentato di restare al passo coi tempi, nel contesto del metal classico, quello è Blaze. Un pezzo come “Robot” non lo sentirete mai, in un album della Vergine di Ferro. Con la sua quarta formazione di supporto (in pratica gli Absolva senza il cantante) si è poi spostato su un più accessibile heavy-power, realizzando un’interessante trilogia di stampo fantascientifico.
Potendo consigliare tre album, per descrivere il suo percorso, probabilmente citerei:

– “Silicon Messiah” (2000, album di metal moderno e durissimo)

– “The Man Who Would Not Die” (2008, più US power che metal inglese)

– “Endure and Survive” (2017, della trilogia è quello che conosco meglio)

Dategli una chance. E mentre cercate i suoi album lasciatevi sturare i condotti auricolari da “Robot”, track numero 7 di “The Man Who Would Not Die”:

Fil di Ferro, “Wolfblood” (2019, recensione)

L’ultima fatica dei Fil di Ferro, “Wolfblood”, mi è piaciuta. Mi è piaciuta perché mi ha spiazzato, ma ci torno dopo.

In Italia lo hanno recensito Sdangher, True Metal e Loud And Proud, mi pare anche Long live rock’n’roll e… ah, Eugenio Giordano nel suo blog.
I voti? Alti. Molto alti. Dopo aver letto le recensioni di Sdangher e True Metal ho voluto ascoltarlo pure io, sarà stato dicembre, e a momenti i Fil di Ferro manco li riconoscevo.
Se vi aspettate l’hard & heavy dei loro album più noti, siete fuori strada. Si sono dati all’heavy epico, ho sintetizzato in rete, e con risultati sorprendenti. Una transizione più naturale di quel che si possa pensare, visto che l’epic nasce da una costola dell’heavy tradizionale e all’inizio nessuno stava lì a distinguerli.

Càpita che un gruppo di “semplice” heavy metal deragli in territori parzialmente epici, insomma. I Saxon lo hanno fatto, per citare un nome noto. O per restare in Italia, i Gunfire e gli Skanners. Quindi perché non i Fil di Ferro? Non è il linguaggio musicale a fare la differenza, specie quando si rimane nei margini del metal tradizionale, bensì i risultati artistici. E qui c’è di che essere soddisfatti.

Testi incentrati sulla mitologia nordica, atmosfere eroiche, pezzi sparati (“Wolfblood” è la “Thundersteel” dei nostri, Paola Goitre canta come se avesse Tony Moore che la incita e il fantasma di Warrel Dane che la benedice dall’alto) e altri più magniloquenti, in tal senso mi ha colpito la parte centrale di “Memories and thoughts”. “The curse of the werevolves” vanta un incipit alla “Gipsy” degli Uriah Heep, il pezzo poi prende direzioni completamente diverse e ci offre un gran ritornello e ottimi cambi di ritmo (entusiasmante De Rosa alla batteria). Nella parte lenta di “Destiny of gods” si va a parare dalle parti dei Velvet Viper più enfatici, poi Fiorito spiazza tutti con qualche barocchismo e in apertura di “The Shining Priest of the Night” si concede un notevole assolo in tapping.

L’album non è di immediata assimilazione, ha parecchie sfumature, però è di immediato apprezzamento. Intendo dire che capisci al volo di aver sentito qualcosa di valido e ti vien voglia di farlo ripartire. Una cosa abbastanza curiosa che mi è capitata è stata quella di iniziare ad ascoltare un brano, o parti di brano, e di pensare “ecco, questo non gli è venuto un granché bene”, salvo poi essere smentito da un cambio di tempo, di atmosfera, di linee vocali. Se si porta pazienza (durata media dei pezzi: 6 minuti, escludendo l’intermezzo “Life”) qualcosa di buono lo si trova un po’ in ogni angolo dell’album.

Certo, bisogna apprezzare il metallo epico; se l’immaginario mitologico vi annoia e preferite storie (e atmosfere) “da strada”, allora potreste incontrare qualche difficoltà e piangere una lacrimuccia di nostalgia ascoltando la riproposizione di “King of the night” posta in chiusura.

Note stonate? Per i miei gusti, certi passaggi con la voce troppo sparata verso l’alto (ma la Goitre resta la vera sorpresa di “Wolfblood”, e considerate che a me il metal con voce femminile piace molto di rado), poi la ballad “Bitter is the wind tonight” (mi è scivolata addosso) e quei uoh-oh-ohoh che mal sopporto.

Nel complesso un bel lavoro, fresco, potente e foriero di una nuova direzione musicale. Vedremo cosa combineranno in futuro, per ora missione compiuta.

L’album potete ascoltarlo su Spotify: rara avis, gli album dei Fil di Ferro non sono mai stati facilissimi da rintracciare. Però esiste anche la versione in CD. Negli store online ho visto prezzi alti, nel caso potete richiederlo direttamente alla band attraverso la loro pagina facebook, attualmente il prezzo di vendita è pari a 12 euro (ignoro l’ammontare delle spese di spedizione):
https://www.facebook.com/fildiferroband/

Valutazione album: