Il riscatto del piede caprino

Ho letto su Metallized l’interessante recensione di “A Sultan’s Ransom” dei Cloven Hoof, album che a me piace parecchio:
http://www.metallized.it/recensione.php?id=17010

Della disamina dell’ottimo Francesco Gallina mi ha colpito questo inciso:

“da apprezzare appieno solo escludendo il prodotto e la band dalla contestualizzazione relativa al periodo in cui è arrivato sul mercato. Del resto, tutto nel campo affrontato dai ragazzi delle West Midlands era già stato detto, altri stili erano decisamente più al passo coi tempi e ben altri stavano per scompaginare le carte. Di conseguenza, da valutare in maniera un po’ meno entusiasta se inserito più correttamente nel contesto della storia del metal”.

Nulla da dire sull’importanza della contestualizzazione (ne parlo sempre anch’io) e il discorso di mister Raven è di per sé corretto: “A Sultan’s Ransom” diventa meno significativo qualora venga calato nel continuum (la storia del metal) ma il ridimensionamento avviene solo a livello di importanza e innovazione, non a livello qualitativo. Il valore in sé di un album prescinde da tali fattori, nel senso che una bella canzone resta bella anche se non sconvolge la scena musicale del tempo.

Sono dell’idea che l’atto del contestualizzare preveda una certa flessibilità d’applicazione. Basta poco per cambiare prospettiva e modificare i valori: se nella macro storia del metal quest’album dei Cloven Hoof risulta poco significativo (come un buon 95% degli album metal, del resto), in quella del metal classico europeo di fine anni ’80 assume una certa rilevanza, trattandosi di uno dei migliori lavori pubblicati dalla vecchia guardia della NWOBHM, quando la scena era ormai bella che andata, nonché una delle migliori fusioni tra metallo anglosassone e power americano del decennio.
Dipende dal tipo di contestualizzazione che si decide di applicare, insomma.

Aggiungo una riflessione: ogni volta che esce un album heavy ci sono stili “decisamente più al passo coi tempi”. Funziona così grossomodo dal 1983. “Thundersteel” dei Riot, per esempio, uscì quando il periodo d’oro del metal classico era tramontato (1988), e non inventò nulla neppure nel suo genere di riferimento, ma credo che possa essere apprezzato appieno anche contestualizzandolo nel “periodo in cui è arrivato sul mercato”, benché quel periodo fosse dominato da altre sonorità.
Perfino quando venne pubblicato “Powerslave” c’era gente che aveva o stava per “scompaginare le carte”, in fin dei conti.

Comunque “A Sultan’s Ransom” merita un ascolto, se non lo conoscete. Per me bastano i vocalizzi di Russ North e i cambi di tempo nella parte centrale di “Astral rider”, per amarlo: