Ubriaco sulla luna

Ebbene sì, ci sono momenti in cui riff in power chord, doppia cassa e ritornelli anthemici non costituiscono il sottofondo migliore. Talvolta c’è bisogno di qualcosa di più soffuso (no, i Cannibal Corpse non sono soffusi, fatevene una ragione), qualcosa che lasci spazio a una strumentazione differente. A sonorità e atmosfere differenti. Un pianoforte jazz e una voce blues, per esempio.

Raccontare la carriera di Tom Waits in poche righe è pressoché impossibile, d’altronde è anche un ottimo attore (cito giusto il duetto con Iggy Pop nel film “Coffee and cigarettes” e l’interpretazione di Renfield del “Dracula” di Coppola). In vita sua ha sperimentato molto, la sua eccentricità e il suo spirito anticonformista lo hanno spinto – da fine anni Novanta in poi – a pubblicare svariati lavori con un’etichetta grande ma formalmente indipendente come la Anti- (sorella della Epitaph), d’altronde i legami col punk-rock erano già stati avviati dalla “collaborazione” coi Ramones, i quali coverizzarono “I don’t wanna grow up” di Tom Waits nel 1995.

Il suo album più famoso? Forse “Swordfishtrombones” (1983), cioè l’album del passaggio più netto dal blues/jazz ricercato degli esordi al postmoderno della fase successiva.

A me piace soprattutto il primo Tom Waits, quello – per l’appunto – più soffuso e malinconico, e di conseguenza meno schizoide e sperimentale. Per me Tom Waits è il tizio che può entrare in un bar di notte, scorgere un pianoforte, chiedere al barista se è disposto a offrirgli un paio di whisky qualora suoni qualcosa per intrattenere gli avventori, prendere posto sullo sgabello davanti al piano e cantare brani come quelli che sto per citare.

Il primo è, per me, una delle dieci ballate più belle della storia della musica. S’intitola “Marta” ed è presente nel suo esordio “Closing time”, del 1973. È malinconica come nessun’altra (non ascoltatela se siete giù di corda) e racconta una storia bella e triste al contempo, d’altronde Tom Waits si rifà ai grandi scrittori della beat generation:

Da notare che qui cantava ancora con una voce “pulita”, successivamente le sue corde vocali si deterioreranno conferendogli quel tipico timbro alla carta vetrata che un critico avrebbe poi descritto così: “una voce che pare sia stata lasciata a macerare in un tino di whisky, poi appesa in un affumicatoio per mesi e infine portata fuori e investita con un’automobile”.

Il secondo pezzo che vi propongo è tratto dal suo terzo album, “Nighthawks at the Diner”, registrato dal vivo ma con materiale inedito. Sembra di trovarsi in un bar, in realtà le esecuzioni avvennero in uno studio vero e proprio, davanti a un po’ di suoi sostenitori. Il pezzo è “Better off without a wife”, sarcastica e tipicamente jazz, dal testo irresistibile (e chiusura straordinaria):

Il terzo è un brano tratto da “Blue Valentine” (1978) e s’intitola “Romeo Is Bleeding”, altro pezzo di jazz fumosissimo, con un grande assolo di sax da parte di Frank Vicari. Niente pianoforte, qui, ma il concetto di “soffuso” è perfetto per brani del genere:

Poi se volete conoscere il Tom Waits della seconda fase avete anche più album da ascoltare, io però vi consiglio di partire da questi e poi andare avanti per comprendere meglio in che modo si è evoluto uno degli ultimi geni musicali del Novecento.

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