The Dictators, “Go girl crazy!” (1975)

Non avevo mai sentito parlare dei Dictators. Poi acquistati il libricino della Giunti (“I Classici”… che anno era? 1999? 2000? Va beh, vent’anni fa) e m’imbattei nella recensione di un paio d’album della band newyorchese.
La copertina di “Go girl crazy!” non prometteva nulla di buono, con questo coattone che pareva appena uscito da una discoteca anni Settanta e che rispondeva al nome di Richard “Handsome Dick” Manitoba.

Handsome Dick?

Mah.

Però nella recensione si parlava di proto-punk e io col punk ci sono cresciuto, quindi presi subito nota. E rimediai alla mia lacuna.

Bam!

Colpo di fulmine. L’ennesimo, tra le sconfinate lande del rock ‘n’ roll. Se avessi avuto lo stesso numero di colpi di fulmine con le donne, oggi avrei alle spalle più matrimoni di Elizabeth Taylor.

Comunque. L’album mi colpì un sacco; era fresco, vario, suonato bene, schizoide il giusto.

Ma c’è davvero del punk, tra questi solchi?

Beh, sì. La voce di Manitoba lo era, a tratti, soprattutto perché sguaiata, insolente… e talvolta vicina alla stonatura, tipo in “I got you babe”, cover di Sonny Bono (potevano evitare di piazzare una ballata in seconda posizione nella tracklist, è uno dei pochi difetti che attribuisco all’album).

“I live for cars and girls” è rock ‘n’ roll in senso ramonesiano, quindi un po’ surf e un po’ pop-punk ante litteram . E non a caso i due gruppi condivideranno la cover di “California sun” (meglio la versione dei Dictators, però). Il caustico senso dell’umorismo è quello del punk che non si prendeva troppo sul serio, i testi delle irresistibili “Master race rock” (total punk… sentite che cori), “Back to Africa” (che presenta riff reggae e riffoni hard rock… è raro sentire una fusione così azzeccata) e “Two tub man” (folle, fin dal demenziale monologo d’apertura) parlano chiaro.

Trentacinque minuti spassosissimi, dettati dalla linee vocali di quell’adorabile guitto di Manitoba, che per un po’ di anni è stato anche il cantante degli MC5 (va beh… di quello che ne rimaneva) negli spettacoli dal vivo, in cui peraltro ha dimostrato di possedere ancora una certa grinta.

Questo non è l’unico album dei Dictators da raccomandare, almeno un altro dovrò citarlo in futuro, ma è quello con cui li ho conosciuti e a me piace un sacco. Tanta energia e tanta “ignoranza” condensate in appena 35 minuti di musica.

Qualche nota di colore, infine.

Pare che la versione originale di quest’album sia stata cantata da Andy Shernoff, membro fondatore della band e poi tastierista aggiunto nel secondo lavoro, “Manifest Destiny”, nel quale imbracciò il basso Mark Mendoza, poi alla corte dei grandissimi Twisted Sister.

L’album fu prodotto da Sandy Pearlman, manager dei Blue Oyster Cult.

A proposito: sapete chi suona le tastiere in un paio di pezzi di “Go girl crazy!”? Allen Lanier, storico chitarrista (e tastierista) dei Blue Oyster Cult.

La chitarra, nei Dictators, la suonava invece un certo Ross Friedman, che di lì a poco si unirà a un bassista (con un brillante futuro da MANager) e fonderà una nuova band chiamata Manowar. Quel chitarrista diverrà famoso nel mondo dell’heavy metal col soprannome di Ross “The Boss”.

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